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Rassegna di giovani artiste a Cordovado (PN) palazzo Cecchini
La mostra rientra nell'ambito deelle collaborazioni tra "la roggia" e il "Circolo Culturale G. Bozza" di Cordovado
Palazzo Cecchini Cordovado (PN) dal 18 gennaio al 1 febbraio
inaugurazione domenica 18 gennaio 2009 ore 11
Intervento musicale di NUCCIO SIMONETTI (sitar) ANNA DEL PUP (tampura)
Quando si affrontano temi sociali e culturali, uno dei nodi centrali del dibattito è quasi sempre – per inevitabile necessità – il problema del gap generazionale, del rapporto tra passato e futuro, della continuità o della rottura.
Nelle attività culturali ed artistiche questo nodo è – all’apparenza – particolarmente intricato, per la volontà sempre presente, nelle nuove generazioni, di liberarsi dai legacci del passato per aprirsi ad esperienze nuove e diverse. In realtà, a ben guardare, esiste sempre una convincente continuità tra quanto è stato fatto e quanto invece viene proposto in termini di rinnovamento e di rottura.
La storia insegna che anche i fenomeni più rivoluzionari hanno sempre avuto dei prodromi che li preannunciavano e degli epigoni che hanno condotto alle estreme conseguenze gli assunti, fino ad anticipare largamente anche le grandi rivoluzioni.
Anche la nostra età sta registrando un travagliato dibattito tra il passato (soprattutto quello recente), un presente vissuto all’insegna del precariato ed un futuro che non lascia trasparire segnali identificativi. Ma, anche in questa stagione civile e culturale, molti segnali si offrono a testimoniare che il passato (pur contrastato) viene in realtà assorbito nel presente e che la “scuola” ha ancora una forza notevole per determinare il futuro.
Affrontare il tema delle “Generazioni” in arte significa anche entrare nel vivo del dibattito e cercare i riferimenti utili ad una lettura del presente.
Forse il dato principale è quello di un “genius loci” capace di improntare un territorio o una generazione: laddove manca una figura di
riferimento culturale, i modelli vengono assunti dai punti più disparati dell’universo (complice anche la comunicazione globale in tempo reale) e le scelte “nuove” sono più agevoli e sconvolgenti; quando invece un territorio abbia già una tradizione di continuità ed un modello dominante di riferimento sicuro e, in qualche modo, rassicurante, l’evoluzione ha una naturale progressione che – mentre sconvolge comunque gli assetti – garantisce al tempo stesso una lettura lineare dei passaggi.
La seconda edizione di “Generazioni” si riferisce, in qualche modo, ad una situazione del secondo tipo, vale a dire quella di una realtà dove
per antica tradizione il “Maestro” è stato sempre capace di essere autorevole guida e modello di comportamento.
L’Accademia di Belle Arti di Venezia ha prodotto nel tempo Artisti di valore che hanno vivacemente inciso sulla formazione delle nuove generazioni, non solo con il modello della loro produzione concreta ma anche con l’atteggiamento nei confronti degli studenti e con l’impegno ad organizzare per loro iniziative “propedeutiche” alla futura attività.
L’esempio di Saetti, Vedova, Zotti (tanto per rimanere nella cronaca recentissima) è di altissimo valore e indiscutibile qualità: e ancora oggi si registrano le testimonianze di “filiazione” più o meno diretta, più o meno riconosciuta.
Mirella Brugnerotto si è posta in questa linea di lavoro sin da quando è arrivata ad insegnare all’Accademia di Venezia: quasi per mantenere viva una tradizione che l’aveva vista partecipe interessata, ha impostato il suo insegnamento anche sul versante della “guida all’organizzazione”, come risulta evidente dall’impegno profuso per organizzare la sezione per i giovani artisti dell’ Accademia di Belle Arti di Venezia nell’ambito della Rassegna di Arte Contemporanea “Hicetnunc” a S.Vito al Tagliamento (PN) e le Mostre "Nuove generazioni d'arte" a Casarsa della Delizia (PN).
La sollecitazione non ha riguardato (come è giusto e necessario che sia) i valori formali e le scelte pittoriche, anche se qualche inevitabile conseguenza è possibile intravedere.
L’atteggiamento sereno e spesso ludico che Mirella assume di fronte alla realtà non può che contagiare: il suo mondo è quasi sempre pastellato e risolto nella tavolozza “allegra”, anche quando i temi affrontati sono decisamente forti e spesso dolorosi; il dato di scegliere il frammento, il particolare e di esaltarlo in tutta la sua valenza pittorica finisce sempre per conferire all’opera un che di ludico, di fanciullesco, spesso quasi allegro; e la sapienza coloristica, che consente di seguire morbidamente le sinuosità dell’oggetto per accamparlo in uno spazio quasi surreale finisce per suggerire un mondo di favole che (come tutte le favole, del resto) nasconde tristezze e violenze impensabili.
Questi valori – formali e sostanziali – non possono sfuggire a che si pone a cogliere da Mirella i segreti di un mestiere difficile: qualcuna sulla
direttrice della favola, altre sulle linea della ricchezza coloristica, le allieve del corso finiscono per giostrare all’interno di un mondo per lo meno parallelo e assonante.
In realtà (ed è questo il centro focale della ricerca che la mostra propone) ciascuna denota una ricchezza interiore ed una padronanza dei mezzi che la rende autonoma e distaccata, capace di dare vita ad una sua particolare geografia.
Elena Armellini è fortemente suggestionata dalle ambientazioni favolistiche e dimostra una manualità invidiabile nella manipolazione dei materiali più eterogenei per costruire i suoi personaggi sempre in bilico tra una possibile verosimiglianza e la più assoluta astrazione fiabesca.
Addirittura, l’approccio alle nuove tecnologie la spinge ad animare le sue opere di un movimento improbabile ma suggestivo.
Su tutto, domina la scelta di una tavolozza leggera, di colori tenui, che invitano a muoversi tra le sue opere come una moderna Alice a caccia dei suoi personaggi irreali.
Valentina Corradi privilegia l’attenzione al microcosmo, quasi alla realtà vista attraverso il microscopio, per comporre visioni spesso inquietanti di una realtà al di là del visibile.
Ma interviene la sua scelta delle cromie, ad interrompere la visibilità: i toni delicati fanno perdere di vista il soggetto e lo spostano sul terreno della pura forma, sicché alla fine non interessa più se ad essere rappresentati siano microrganismi o decorazioni parietali; conta invece l’eleganza delle movenze, la pienezza della composizione, l’opera completa che corre leggera sulle cose e ne coglie i valori formali e cromatici per costruire un mondo fantastico in cui perdersi per il gusto di perdersi.
Elena Pizzolitto ama la manualità come percorso di espressione e per questo fa ricorso a tutti i materiali possibili per le sue composizioni. Tra tutte però, sembra privilegiare, almeno per il momento, il lavoro con il filo, con cui ricama le sue tele aeree su un supporto pittorico, in bilico tra le fantasie che si fanno corpo e i percorsi straordinari della mente.
La costante condivisa è il gusto raffinato del colore tenue, quasi a ribadire una sorta di “femminino dell’arte” che le consente di “ricamare racconti” mentre costruisce l’opera. Alla fine, la sensazione di infantile dolcezza diventa atmosfera generale, nella quale la severità del lavoro è solo un mezzo per raccontare favole di invenzione.
Stefania Tosello rimane per molti versi ancorata ad una tradizione classica della pittura, quella che vive di paesaggi ed ambienti, evocati e suggeriti, piuttosto che descritti.
Ma le sue praterie sterminate sono sempre popolate da figure improbabili, più vicine alle invenzioni surreali che non ad ambienti plausibili: sembra quasi di muoversi in un mondo di sogno, come in certe invenzioni di bimbi dove fate e streghe possono avere la stessa connotazione.
Ad aggiungere eleganza e sogno, c’è la tavolozza di toni leggeri, quasi acquerelli che scivolano dal rosa al celeste, dal verde pallido al marrone delicato, per contribuire a rendere sognato un mondo che nasce nella sua fantasia e si conclude nella nostra emozione.
La scelta che “Generazioni2” propone quest’anno è senz’altro un gruppo unito da una base portante che è il racconto, con la pittura, di piccole e grandi fantasie infantili, rese con sapiente tecnica coloristica perché la forma sia aderente al sogno raccontato.
Ma per molti versi è ancora (fortunatamente) una “scuola” che perpetua l’avventura di un insegnamento che è fatto di lezioni tecniche, ma anche – e soprattutto – di educazione al racconto per immagini, alla trasposizione sulla tela di sensazioni ingenue e genuine perché la pittura sia anche possibilità di emozione .
Enzo di Grazia
inaugurazione domenica 18 gennaio 2009 ore 11
Intervento musicale di NUCCIO SIMONETTI (sitar) ANNA DEL PUP (tampura)
Quando si affrontano temi sociali e culturali, uno dei nodi centrali del dibattito è quasi sempre – per inevitabile necessità – il problema del gap generazionale, del rapporto tra passato e futuro, della continuità o della rottura.
Nelle attività culturali ed artistiche questo nodo è – all’apparenza – particolarmente intricato, per la volontà sempre presente, nelle nuove generazioni, di liberarsi dai legacci del passato per aprirsi ad esperienze nuove e diverse. In realtà, a ben guardare, esiste sempre una convincente continuità tra quanto è stato fatto e quanto invece viene proposto in termini di rinnovamento e di rottura.
La storia insegna che anche i fenomeni più rivoluzionari hanno sempre avuto dei prodromi che li preannunciavano e degli epigoni che hanno condotto alle estreme conseguenze gli assunti, fino ad anticipare largamente anche le grandi rivoluzioni.
Anche la nostra età sta registrando un travagliato dibattito tra il passato (soprattutto quello recente), un presente vissuto all’insegna del precariato ed un futuro che non lascia trasparire segnali identificativi. Ma, anche in questa stagione civile e culturale, molti segnali si offrono a testimoniare che il passato (pur contrastato) viene in realtà assorbito nel presente e che la “scuola” ha ancora una forza notevole per determinare il futuro.
Affrontare il tema delle “Generazioni” in arte significa anche entrare nel vivo del dibattito e cercare i riferimenti utili ad una lettura del presente.
Forse il dato principale è quello di un “genius loci” capace di improntare un territorio o una generazione: laddove manca una figura di
riferimento culturale, i modelli vengono assunti dai punti più disparati dell’universo (complice anche la comunicazione globale in tempo reale) e le scelte “nuove” sono più agevoli e sconvolgenti; quando invece un territorio abbia già una tradizione di continuità ed un modello dominante di riferimento sicuro e, in qualche modo, rassicurante, l’evoluzione ha una naturale progressione che – mentre sconvolge comunque gli assetti – garantisce al tempo stesso una lettura lineare dei passaggi.
La seconda edizione di “Generazioni” si riferisce, in qualche modo, ad una situazione del secondo tipo, vale a dire quella di una realtà dove
per antica tradizione il “Maestro” è stato sempre capace di essere autorevole guida e modello di comportamento.
L’Accademia di Belle Arti di Venezia ha prodotto nel tempo Artisti di valore che hanno vivacemente inciso sulla formazione delle nuove generazioni, non solo con il modello della loro produzione concreta ma anche con l’atteggiamento nei confronti degli studenti e con l’impegno ad organizzare per loro iniziative “propedeutiche” alla futura attività.
L’esempio di Saetti, Vedova, Zotti (tanto per rimanere nella cronaca recentissima) è di altissimo valore e indiscutibile qualità: e ancora oggi si registrano le testimonianze di “filiazione” più o meno diretta, più o meno riconosciuta.
Mirella Brugnerotto si è posta in questa linea di lavoro sin da quando è arrivata ad insegnare all’Accademia di Venezia: quasi per mantenere viva una tradizione che l’aveva vista partecipe interessata, ha impostato il suo insegnamento anche sul versante della “guida all’organizzazione”, come risulta evidente dall’impegno profuso per organizzare la sezione per i giovani artisti dell’ Accademia di Belle Arti di Venezia nell’ambito della Rassegna di Arte Contemporanea “Hicetnunc” a S.Vito al Tagliamento (PN) e le Mostre "Nuove generazioni d'arte" a Casarsa della Delizia (PN).
La sollecitazione non ha riguardato (come è giusto e necessario che sia) i valori formali e le scelte pittoriche, anche se qualche inevitabile conseguenza è possibile intravedere.
L’atteggiamento sereno e spesso ludico che Mirella assume di fronte alla realtà non può che contagiare: il suo mondo è quasi sempre pastellato e risolto nella tavolozza “allegra”, anche quando i temi affrontati sono decisamente forti e spesso dolorosi; il dato di scegliere il frammento, il particolare e di esaltarlo in tutta la sua valenza pittorica finisce sempre per conferire all’opera un che di ludico, di fanciullesco, spesso quasi allegro; e la sapienza coloristica, che consente di seguire morbidamente le sinuosità dell’oggetto per accamparlo in uno spazio quasi surreale finisce per suggerire un mondo di favole che (come tutte le favole, del resto) nasconde tristezze e violenze impensabili.
Questi valori – formali e sostanziali – non possono sfuggire a che si pone a cogliere da Mirella i segreti di un mestiere difficile: qualcuna sulla
direttrice della favola, altre sulle linea della ricchezza coloristica, le allieve del corso finiscono per giostrare all’interno di un mondo per lo meno parallelo e assonante.
In realtà (ed è questo il centro focale della ricerca che la mostra propone) ciascuna denota una ricchezza interiore ed una padronanza dei mezzi che la rende autonoma e distaccata, capace di dare vita ad una sua particolare geografia.
Elena Armellini è fortemente suggestionata dalle ambientazioni favolistiche e dimostra una manualità invidiabile nella manipolazione dei materiali più eterogenei per costruire i suoi personaggi sempre in bilico tra una possibile verosimiglianza e la più assoluta astrazione fiabesca.
Addirittura, l’approccio alle nuove tecnologie la spinge ad animare le sue opere di un movimento improbabile ma suggestivo.
Su tutto, domina la scelta di una tavolozza leggera, di colori tenui, che invitano a muoversi tra le sue opere come una moderna Alice a caccia dei suoi personaggi irreali.
Valentina Corradi privilegia l’attenzione al microcosmo, quasi alla realtà vista attraverso il microscopio, per comporre visioni spesso inquietanti di una realtà al di là del visibile.
Ma interviene la sua scelta delle cromie, ad interrompere la visibilità: i toni delicati fanno perdere di vista il soggetto e lo spostano sul terreno della pura forma, sicché alla fine non interessa più se ad essere rappresentati siano microrganismi o decorazioni parietali; conta invece l’eleganza delle movenze, la pienezza della composizione, l’opera completa che corre leggera sulle cose e ne coglie i valori formali e cromatici per costruire un mondo fantastico in cui perdersi per il gusto di perdersi.
Elena Pizzolitto ama la manualità come percorso di espressione e per questo fa ricorso a tutti i materiali possibili per le sue composizioni. Tra tutte però, sembra privilegiare, almeno per il momento, il lavoro con il filo, con cui ricama le sue tele aeree su un supporto pittorico, in bilico tra le fantasie che si fanno corpo e i percorsi straordinari della mente.
La costante condivisa è il gusto raffinato del colore tenue, quasi a ribadire una sorta di “femminino dell’arte” che le consente di “ricamare racconti” mentre costruisce l’opera. Alla fine, la sensazione di infantile dolcezza diventa atmosfera generale, nella quale la severità del lavoro è solo un mezzo per raccontare favole di invenzione.
Stefania Tosello rimane per molti versi ancorata ad una tradizione classica della pittura, quella che vive di paesaggi ed ambienti, evocati e suggeriti, piuttosto che descritti.
Ma le sue praterie sterminate sono sempre popolate da figure improbabili, più vicine alle invenzioni surreali che non ad ambienti plausibili: sembra quasi di muoversi in un mondo di sogno, come in certe invenzioni di bimbi dove fate e streghe possono avere la stessa connotazione.
Ad aggiungere eleganza e sogno, c’è la tavolozza di toni leggeri, quasi acquerelli che scivolano dal rosa al celeste, dal verde pallido al marrone delicato, per contribuire a rendere sognato un mondo che nasce nella sua fantasia e si conclude nella nostra emozione.
La scelta che “Generazioni2” propone quest’anno è senz’altro un gruppo unito da una base portante che è il racconto, con la pittura, di piccole e grandi fantasie infantili, rese con sapiente tecnica coloristica perché la forma sia aderente al sogno raccontato.
Ma per molti versi è ancora (fortunatamente) una “scuola” che perpetua l’avventura di un insegnamento che è fatto di lezioni tecniche, ma anche – e soprattutto – di educazione al racconto per immagini, alla trasposizione sulla tela di sensazioni ingenue e genuine perché la pittura sia anche possibilità di emozione .
Enzo di Grazia
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