Il Ritratto in fotografia nell’800 e 900 dagli Archivi del CRAF – Palazzo di Sopra, Spilimbergo, a cura di Walter Liva, 4 luglio – 30 agosto 2009
Per definizione, il ritratto è una rappresentazione (pittorica, fotografica o letteraria) che raffigura uno o più soggetti generalmente isolati dallo sfondo o dal contesto generale in cui compaiono.
Si ricorda, nel decennio antecedente l’invenzione della fotografia, la moda del cammeo dipinto con piccoli ritratti e, successivamente, con l’introduzione del dagherrotipo (che rimase sul mercato sino agli anni 1850) la tendenza di moltissimi pittori miniaturisti a riconvertirsi alla fotografia, spesso impiegati presso gli studi dei fotografi a dipingere a mano i dagherrotipi.
Solo l’invenzione di Eugene Disderi della carte de visite riuscì ad amplificare in modo esponenziale la realizzazione del ritratto: dai Re ai normali cittadini, la carte de visite si diffuse a macchia d’olio.
La fotografia del Novecento si avviò poi al superamento del pictorialism mettendo in luce le diverse modalità espressive del ritratto in fotografia, da quelli borghesi di Edward Steichen e di Alfred Stieglitz a quelli dedicati alle popolazioni dei nativi americani di John Alvin Anderson, dei tuaregh fotografati a Parigi da Albert Hartigue ai ritratti degli emigranti in arrivo a Ellis Island di Lewis Hine, infine quelli realizzati da un giovanissimo André Kertesz ai commilitoni a Gorizia, all’alba della Prima Guerra Mondiale, molto simili alle fortunate cartoline postali tramite cui i soldati inviavano dal fronte un ritratto alle famiglie.
Non manca certo, nel dispiegarsi della mostra, l'America della Grande Crisi e della Farm Security Administration fotografata con intensa partecipazione da Dorothea Lange, Arthur Rothstein, Russell Lee e Photoleague con Walter Rosenblum, quindi il fotogiornalismo che, dalla Seconda Guerra Mondiale fino alla fine degli anni ’60 ne ha riproposto la centralità mediatica (George Rodger, Henri Cartier Bresson, John Phillips, Burt Glinn, James Whitmore, Cornell Capa, Jeanloup Sieff, Frank Horvath, Romano Cagnon, etc).
Parallelamente, il ritratto in studio (in posa), ambientato (nel quale cioè la “cornice”, il contorno è essenziale) o “in esterno” (con una nuova interazione tra uomo e ambiente) ha mantenuto il suo tradizionale legame dialettico con la pittura, fatto di confronto sul concetto di bellezza, sulla rappresentazione dell’identità psicologica della persona fotografata.
Da Paolo Gasparini (suoi i ritratti di Paul Strand e di Che Guevara) a Robert Frank, Inge Morath, Martin Parr, Mario Giacomelli, Luigi Crocenzi, Mario Cresci, Roberto Salbitani, Guido Guidi fino a Paolo Gioli, Nicola Radosevic, Newsha Tavakolian, Rena Effendi sino ai lavori in digitale delle ultime generazioni, si compone senza pretendere alcuna esaustività, un racconto per immagini del XX secolo.
Futurismo e Fotografia – Museo di Storia della Fotografia F.lli Alinari, Firenze, 17 settembre – 15 novembre; Sala espositiva della provincia, Pordenone, 5 dicembre – 28 febbraio 2010, a cura di Giovanni Lista
Il movimento futurista, fondato da Filippo Tommaso Marinetti, intendeva proporsi quale sistema ideologicamente rivoluzionario, in grado di sconfinare dalla pittura e letteratura per abbracciare un concetto universale dell’arte.
Il 20 febbraio 1909, su Le Figaro, Filippo Tommaso Marinetti pubblicò il Manifeste du Futurisme, rilanciato in Italia dal Manifesto dei pittori futuristi nel febbraio 1910 e, nel successivo mese di aprile, dal Manifesto Tecnico della pittura futurista sottoscritto da Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini, Luigi Russolo. Per i futuristi, occorreva abolire, nell’immagine, la prospettiva tradizionale a favore di un moltiplicarsi di punti di vista che fossero in grado di esprimere l’interazione dinamica con lo spazio circostante: …”la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità…Così annunciava il primo Manifesto. E’ il decreto di morte d’ogni passata mitologia, in favore della mitologia nuova; la macchina, idolo lucente, rombante, utilitario…Lo stile deve diventare rapido, scattante, turbinante co
me la vita moderna nel suo incessante esplodere e pulsare; quindi… il dinamismo plastico…”.
In quegli stessi anni, Anton Giulio Bragaglia realizzò le sue prime “fotodinamiche” che diedero il via al rapporto, inizialmente controverso, tra futurismo e fotografia. È poi degli anni ’20 l’introduzione del “foto collage” e del 1930 il Manifesto della Fotografia Futurista di Marinetti e Tato.
La mostra verrà realizzata d’intesa con la Fondazione Alinari di Firenze e sarà curata da Giovanni Lista, per un totale di 130 opere esposte.
La rassegna riscopre le possibilità espressive sperimentate dal futurismo in fotografia (dalla ritrattistica, al fotomontaggio, fotocollaggio, manipolazione iconografica, ricerca iconica, foto-performance), evidenziandone le potenzialità anche a livello di propaganda sociologica e ideologica, infine quale strumento indispensabile a immortalare l’ufficialità del movimento, le occasioni sociali o i riti che corroboravano la complicità del gruppo.
Nell’esperienza dei futuristi in ambito fotografico si ritrovano tutti i principi applicati all’arte: antipassatismo, sperimentazione
formale e estetica, volontà di catturare dinamismo e vitalismo del mondo contemporaneo.
La mostra tratterà anche le immagini di una “cultura futurista” che ha preso forma in modo libero e indipendente nei termini di uno sperimentalismo o di uno spirito avanguardista che investiva coscientemente la fotografia proprio in quanto medium per eccellenza di una modernità legittimata tanto nel gesto quotidiano quanto nell’atto creativo.
Le fotografie proverranno da collezioni private e da istituzioni pubbliche quali l’Alinari, il Museo del Cinema e della Fotografia di Torino, il MART di Trento e Rovereto.
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L’era dell’Ottimismo. Propaganda e Arte nella Fotografia in Russia negli anni 1920 – 1930 – Chiesa di San Lorenzo,San Vito al Tagliamento, 3 luglio – 4 ottobre 2009, a cura di Andrey Baskakov, Direttore Soyuz Mosca e con collaborazione con il Museo Casa della Fotografia di Mosca (direttrice Olga Sviblova)
È stato, questo, un periodo drammatico a causa del conflitto tra la tradizionale arte fotografica russa e la nuova fotografia documentaria sovietica.
I fotografi pittorialisti vennero accusati di ideologie borghesi, “individui idealisti” e prerivoluzionari, spesso perseguitati e repressi fisicamente.
La collezione Soyuz comprende i lavori originali dei maestri della fotografia pittorialista russa, tra i quali Sergey Lobovikov, Miron Sherling, Nikolay Andreev, Aleksandr Grinberg, Yacov Ellengorn, Yuri Eremine, Sergey Alliluev – Ivanov, Petr Klepikov, Moisey Nappelbaum, Sergey Savrasov, Nikolay Svishchov – Paola, Vasily Ulitin.
Anche la fotografia documentaria o di reportage, che si dibatte tra lo stile propagandistico di quel periodo e la ricerca di un linguaggio artistico innovativo, risulta interessante.
Tra i fotografi più rappresentativi, Aleksandr Dorn, Boris Kudoyarov, Georgy Petrusov, Dubrovin, Semen Fridlyand, Ale
xander Rodchenko, Boris Ignatovich, Arkady Shaikhet, Ivan Shagin, Michael Prekhner, Maks Alpert, Sergey Strunnikov, Mark Markov Grinberg, Anatoly Egorov, Ivan Shagin, Evgeniy Khaldey, Emmanuil Evzerikhin.
La Fotografia del Novecento in Friuli Venezia Giulia – Museo Etnografico, Lubiana, 2 giugno 14 settembre, Capodistria, Udine a cura di Gianfranco Ellero e Walter Liva
La Prima Guerra Mondiale, che vide il fronte proprio in Friuli e nella Venezia Giulia, segnò cronologicamente il trapasso del pittorialismo, che, tra gli altri, trovò espressione in Arturo Floek (nel 1900 ritrasse Francesco Giuseppe in visita proprio a Gorizia), Ernesto Battigelli, Pietro Modotti, zio della più nota Tina Modotti (presso il quale lavorò Silvio Maria Buratti) e Giacomo Bront.
Anche Carlo Wulz, continuando a Trieste l’attività nell’atelier del padre, realizzò ritratti in studio di taglio pittorialista, assieme a paesaggi e riprese relative ad avvenimenti sociali, proprio mentre si diffondevano gli studi in tutte le cittadine della regione.
Dopo la parentesi della Prima Guerra Mondiale (di cui fu testimone anche il giovane André Kertesz), la fotografia in Friuli Venezia Giulia iniziò con Ugo Pellis un’esperienza di dialettica tra l’immagine e la lingua sulla base delle tesi di Carl Jaberg e Jacob Jud modellate sui principi dell’ “Atlas Linguistique de la France”. Contestualmente si sviluppò un’idea cartolinesca della fotografia con l’interpretazione bucolica del paesaggio e delle scene di vita paesane, in particolare della montagna, con Umberto Antonelli e Attilio Brisighelli.
Nelle
opere di Enrico del Torso troviamo rappresentate le ultime famiglie della nobiltà agricola friulana mentre Francesco Krivec, originario di Tolmino, divenne il più grande ritrattista del secolo in Friuli, il cui nome figura tra i pionieri del colore in fotografia.
Nel secondo dopoguerra, accanto ad una ripresa delle arti e della cultura più ampia (basterebbe citare solamente Pier Paolo Pasolini) la fotografia vide nascere a Spilimbergo, nel 1955, il “Gruppo Friulano per una Nuova Fotografia”, unico in Italia a dotarsi di un Manifesto programmatico ispirato al neorealismo.
Italo Zannier, Gianni e Giuliano Borghesan, Aldo Beltrame, Carlo Bevilacqua, Toni del Tin, Fulvio Roiter Giuseppe Bruno, furono i protagonisti di quella che possiamo definire un’esperienza fondamentale per la fotografia italiana.
Apparvero anche, dagli anni ’50, altri fotografi di valore, come Tin Piernu, che documentò la vita delle minoranze slovene nel
le valli del Natisone, il triestino Tullio Stravisi, il Goriziano Paolo Gasparini (che nel 1954 venne premiato a Spilimbergo dalla “Giuria popolare”, divenendo poi tra i più importanti fotografi del Centro – Sudamerica), il pordenonese Pierluigi Praturlon, il fotografo della Dolce Vita, infine Elio Ciol, la cui fama nella fotografia di paesaggio ha travalicato ben presto i confini.
Nel decennio successivo, Edoardo Nogaro in Carnia e Riccardo Toffoletti nelle Valli del Natisone sono stati considerati tra le più significative epigoni della fotografia neorealista, la cui estetica appare visibilmente ispirata allo stile introdotto dal Gruppo Friulano.
I fotogiornalisti Mario Magajna, Aldo Missinato e Claudio Erné, ma anche Riccardo Viola, hanno documentato eventi quali il disastro del Vajont o l’inondazione di Pordenone del 1966, i funerali di Pasolini del 1975 e il terremoto del 1976 (interpretato fotograficamente anche dall’artista Bruno Lorini). Di Massimo Cetin e Davorin Krizmančič sono i reportages relativi rispettivamente all’arrivo dei profughi dalla Bosnia a Muggia e dei giorni dell’indipendenza della Slovenija.
Gianluigi Colin, anche art director del Corriere della Sera, ha introdotto nuove semiotiche nella fotografia e Ulderica Da Pozzo ha collaborato con riviste nazionali di viaggi e turismo.
Si attribuisce un ruolo significativo, dalla spiccata vocazione aggregativa, ai Circoli fotografici, in particolare negli anni ’60, ’70 e ’80, rappresentati da Tullio Stravisi, Adriano Perini, Enzo Gomba e Giandomenico Vendramin.
Dagli anni ’80, an
alogamente al resto d’Italia, anche nel F.V.G. la fotografia perdeva i connotati di documento per assumere progressivamente le caratteristiche di un’opera d’arte: sono quindi apparsi sulla scena “artisti – fotografi” come Piccolo Sillani, Albano Guatti, Pier Mario Ciani, Stefano Tubaro, Maurizio Frullani, Roberto Kusterle, Walter Criscuoli, Sergio Scabar, Mauro Paviotti, Attilio Marchetto, Catia Drigo, Massimo Crivellari, Guido Cecere e poi giovani che oramai, anche attraverso l’uso del digitale, sono parte attiva nei contemporanei processi di estensione linguistica della fotografia e della sua globalizzazione come Andrea Pertoldeo, Massimo Crivellari, Luca Laureati, Carlo Andreasi, Alberto Cadin, Max Rommel, Francesca Dotta, Marco Citron,Debora Vrizzi, Isabella e Tiziana Pers.
Bruno Bruni, Centro Pasolini, Casarsa della Delizia, 12 luglio – 30 agosto, a cura di Manfredo Manfroi e Fabio Amodeo,
Bruno Bruni (Santa Lucia di Tolmino,1929 – Campalto di Mestre, 1997) collaborò con il Circolo la Gondola di Venezia e prima, insieme a Nico Naldini, fu tra i più giovani fondatori dell’ “Academiute di lenghe furlane” , costituita da Pasolini nel 1945 sui fondamenti della precedente "scuoletta" di Versuta. Sin dal 1944 Bruni concorse alla fondazione e alla gestione letteraria della rivista Stroligut. Partecipò a quelle esperienze con grande entusiasmo, di cui tra l'altro diede atto nel suo poema, inserito nel volume Il ragazzo e la civetta, Il timp di un fantàt (Il tempo di un ragazzo). Dopo la guerra e le esperienze casarsesi, Bruno Bruni si trasferì a Venezia. Fu maestro elementare a Mestre e Marghera, poi insegnò all’Istituto Magistrale. Si dedicò quindi alla fotografia, ottenendo diversi riconoscimenti in Italia e all'estero (nel 1956 da Popular Photography, nel 1956 nominato segretario della Gondola).
La mostra verrà realizzata in collaborazione con La Gondola di Venezia e il Centro Pasolini di Casarsa. Nell’occasione saranno presentati dei filmati dell’Archivio de La Gondola.
Cesare Colombo, Lifesize – la misura della vita, Museo dell’arte febbrile e delle Coltellerie, Maniago, 10 luglio – 23 agosto, a cura di Giovanna Calvenzi
Cesare Colombo (Lecco, 1935) è ad oggi considerato dalla critica un maestro della fotografia italiana. Notissima la sua opera di studioso e storico che lo ha portato a impegnarsi per più di quarant’anni alla produzione di ricerche, fotolibri e mostre di grande successo (da L’Occhio di Milano, 1977, alla Fotografia Italiana Anni Cinquanta, 2006), non così nota, invece, è la sua produzione come autore di immagini. L’esordio, alla metà degli anni 50, riflette una coerente indagine sulle vicende private e sociali dell’uomo, dove a committenze professionali si sono alternate personali ricerche.
Dopo il suo noto fotolibro Milano veduta interna (Alinari, 1990) la mostra che il CRAF presenta appare oggi come la più completa raccolta antologica delle sue visioni.
Attraverso circa 130 fotografie, in formati diversi, la sequenza LifeSize liberamente tradotto ne La misura della vita, rappresenta una riflessione lunga mezzo secolo: ambienti, gesti e volti si alternano liberamente in nero e a colori senza un preciso ordine cronologico. Come ha scritto nella sua attenta presentazione Giovanna Calvenzi “Cesare Colombo ricompone il dualismo fra imperativo alla testimonianza e possibile intervento creativo del fotografo: con coerente semplicità, con una pervicacia che mantiene la visione fedele a se stessa nel tempo e che riesce a salvare dal caos della modernità brandelli di poesia”.
In occasione della mostra LifeSize, sarà edito con lo stesso titolo un fotolibro prodotto congiuntamente dalle Edizioni Imagna, che dedicano una nuova collana ai maestri della fotografia italiana, e dal CRAF.
Ilo Battigelli, Saudi Arabia – un emigrante fotografo, Roma, autunno 2009 a cura di Angelo Pesce
Con Ilo Battigelli (San Daniele del Friuli, 1922 - 2009) andò modificandosi il rapporto del “fotografo” con l’Arabia, non trattandosi più di una presenza di “fotografo-viaggiatore” o di un “reporter” vincolati alla fugacità della loro azione, in ogni caso sempre limitata a un periodo ridotto di tempo.
Battigelli, nel 1946 fotografo ufficiale dell’Arabian-American Oil Company (Aramco) a Ras Tanurah, si ricavò uno studio nel luogo dove immaginava fosse approdata l’ultima nave corsara (da qui si impose il nome di Ilo “il Pirata”) ed ebbe modo, accanto al lavoro di routine legato alla compagnia petrolifera, di documentare la vita della popolazione della Provincia Orientale dell’Arabia Saudita, le diverse attività artigianali – dai panificatori ai ramai, ai pescatori di perle - i paesi (Hofuf, Dammam, Dhahran, Tarut, Qatif) e gli spazi immensi del deserto popolati da carovane di cammelli.
La mostra è già stata presentata presso la King Abdulaziz Foundation a Ryad, alla Grand Valley State University del Michigan e presso la sede del Consiglio Regionale del F.V.G. di Trieste.
Tullio Stravisi – Un grande fotografo di Trieste, Palazzo Gopcevich Trieste a cura di AA.VV., 16 settembre – 3 novembre 2009
Tullio Stravisi (Trieste, 1922-2003) è stato fotografo amatoriale per tutta una vita divenendo una figura di rilievo nel mondo fotografico triestino. Ha fotografato artisti, la sua città e molti paesaggi. In particolare, si è dedicato all'interpretazione del paesaggio carsico utilizzando anche particolari tecniche di viraggio delle stampe fotografiche. Dal 1972 al 1993 è stato presidente del Circolo Fotografico Triestino.
La mostra, realizzata in collaborazione con il Comune di Trieste e il Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia presenterà il corpus complessivo dei lavori di Tullio Stravisi (il cui archivio è stato conferito al CRAF e ivi catalogato).
Prima e dopo il Muro – Palazzo di Sopra, Spilimbergo, 4 luglio – 30 agosto, Roma, settembre, a cura di Contrasto
Una scelta di quaranta emblematiche immagini a ricordo di un evento cruciale della nostra storia. Le fotografie che compongono questa mostra raccontano la città di Berlino piegata dopo la guerra, la creazione del Muro, odiosa ferita che spezza in due la città, il dolore per questa mutilazione, la sua caduta e conseguente esplosione di gioia, infine la vita quotidiana d’oggi nella città dove il muro, o quel che ne resta, è diventato il monumento involontario di un passato che non si può dimenticare.
A testimoniare questo percorso visivo e storico sono stati chiamati i grandi autori di reportage e di fotogiornalismo contemporanei.
Negli scatti di Henri Cartier-Bresson, Leonard Freed, Bruno Barbey, Ian Berry, Guy Le Querrec della Magnum Photos, così come attraverso l’obiettivo dei grandi reporter italiani, da Gianni Berengo Gardin, Mauro Galligani, alle visioni di Giovanni Chiaramonte e allo sguardo di giovani autori come Nicola Gnesi e Davide Monteleone, si percorre un viaggio a ritroso nel tempo, in cui testimonianza e visionarietà si compenetrano nella definizione di un dramma, quello della Seconda Guerra Mondiale e della Cortina di ferro.
La città simbolo dell’Europa contemporanea, con la sua dolente spaccatura e la sua difficile ricomposizione dal 1989 ad oggi, è narrata così in queste splendide foto che, scatto dopo scatto, cuciono insieme, come un filo, l’immagine del nostro presente. La mostra, concepita da Contrasto, è prodotta in collaborazione tra il Comune di Roma e il CRAF (Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia) di Spilimbergo.
9.November und die Tage danach, Villa Sulis, Castelnovo del Friuli, 11 luglio – 30 agosto,a cura di Marion Hűter Messina
Nel 1989, gli studenti della Carl Zeiss – Oberschule di Berlino, assieme all’insegnante e fotografa Marion Hűter Messina, hanno documentato l’evento epocale della caduta del Muro di Berlino, fotografando lungo tutto il perimetro dello stesso.
Da quel lavoro venne realizzata allora una mostra composta da 45 fotografie, già esposte nel corso degli anni in svariate sedi della Germania, che, per il ventennale dello storico evento, fa tappa a Spilimbergo.
Polonia Sempre Fidelis, fotografie di Carlo Leidi, Villa Savorgan, Lestans, 4 luglio – 30 agosto
Il CRAF conserva nei propri archivi il lavoro fotografico realizzato da Carlo Leidi in occasione del viaggio in Polonia di Giovanni Paolo II° del 1979 a Varsavia, Czestochowa e ad Auschwitz, trent’anni orsono, ben dieci anni prima della caduta del Muro di Berlino. Come ricordò Leidi, si trattava di “…immagini riprese durante un viaggio, fatto al seguito di Karol Wojtyla nella sua prima visita da Papa alla nativa Polonia. Viaggio per me, disgraziatissimo: concluso con un incidente stradale che avrebbe potuto costarmi la pelle ma, ancor prima, rallegrato dal furto – eseguito in una Varsavia zeppa di poliziotti, in pieno giorno e in pieno centro, con tutta calma –delle mie Nikon, degli obiettivi e di tutto il materiale impressionato in dieci giorni di lavoro. A parte le prime otto fotografie “miracolate” (tre rullini Nikon mi erano rimasti in tasca per caso) questo è un servizio d’emergenza, fatto con la Minox della mia compagna, Marisa, alla quale devo di non essermene tornato a casa per disperazione: “prova con questa. Perché dargliela vinta?” così nacque il servizio. Il libro no, perché nei mesi successivi alla visita di GiovannI Paolo II° la situazione polacca ebbe sviluppi imprevedibili, grazie alla ribellione operaia e alla sua organizzazione nel sindacato autonomo. Un libro con le sole immagini della visita del Papa – pensammo – avrebbe reso della realtà polacca una faccia sola;chiedemmo invano, ripetutamente, il visto di ingresso per completare il lavoro; infine, dopo mesi, desistemmo. ”
Queste immagini sono tuttavia riuscite a rappresentare al meglio il senso di quel viaggio che oggi comprendiamo appieno nella sua portata storica e a sottolineare l’intensa religiosità popolare dei polacchi.
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