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domenica 8 febbraio 2009

giovedì 12 febbraio, Eskimo, gli anni sottosopra


giovedì 12 febbraio
associazione culturale pabitele, associazione culturale màcheri
teatro san giorgio, udine
ore 21.00
ESKIMO
gli anni sottosopra
ideazione e regia di andrea trangoni
immagini di paolo comuzzi
con monica beltrame, raffaele de bortoli, stefano ferrando, carmen galdi

Eskimo, gli anni sottosopra, ovvero gli anni della “chimera Sessantotto”. C'è modo non consunto per raccontare una volta ancora una storia così abusata?

Forse una possibilità è partire dalla fine, dalla pietra tombale che qui in Italia si volle mettere a quello che poteva essere e non fu. Si può partire dalla strage del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana a Milano, per poi muoversi a ritroso ripercorrendo gli anni che portano a un possibile inizio, all'alluvione di Firenze del novembre 1966, quando per la prima volta centinaia di giovani si mobilitarono spontaneamente da tutto il Paese per salvare un patrimonio artistico ferito dalle acque e scoprirono che loro stessi, insieme, potevano essere acqua di una ben diversa alluvione.

Forse, poi, si può cercare di combinare in uno stesso luogo il tempo domestico che scivola giorno dopo giorno quasi senza fare rumore, immutabile nella ripetizione, nell'orizzonte dei segni noti e familiari, con il tempo che invece vortica oltre le nostre pareti, fuori, inafferrabile, dirompente, alieno. E “vedere da lontano l'effetto che fa”.

Forse, infine, si può lasciare che a parlare siano solo i suoni e le immagini originali di quegli anni, in un fluire ininterrotto che unisce e sovrappone domestici filmini Super8 a voci famose della Storia, in un “vissuto più ricco del pensato”.

Cercare una strada ellittica, poco battuta, ci può forse mettere al riparo dalla facile retorica così come dalla catalogazione museale. Una strada che magari alla fine ci scopre più amari, ma che ci lascia per intero la bella fatica di pensare da soli.

Forse.
E forse il beneficio del dubbio è il punto di partenza migliore per avvicinarsi alla comprensione delle cose. Anche di quelle di anni sottosopra.

domenica 1 febbraio 2009

in ricordo di Giulia 25 luglio 1913 - 28 gennaio 2009 antifascista, deportata a ravensbrück

in ricordo di
rosa cantoni
"giulia"
25 luglio 1913 - 28 gennaio 2009
antifascista, deportata a ravensbrück
"Giù a spiegargli che bisogna far così per sicurezza, che da clandestini meno gli altri sanno di te e meglio è, che la resistenza esige una doppia vita. «Datti un altro nome». Intuisce anche ragioni più profonde, sentendo che sta per entrare nella compagnia di chi si è dato il secondo nome, banditi e corsari, monaci e suore, puttane e convertiti. Il nome vero è questo nuovo che stai per scegliere, non quello che ti hanno dato gli altri. Una notte per pensare. Nelle orecchie la predica del suo prete, qualche domenica prima quando aveva letto il vangelo del monte Tabor e aveva cercato di spiegare perché Gesù si era scelto come compagni di trasfigurazione Elia e Mosè. «Mosè», dice la mattina dopo al comandante e agli altri, vicino al fuoco, «Mi chiamerò Mosè». «Addirittura!», ridono Lupo, Andrea e Veleno. Ma non è per mania di grandezza. Gli è piaciuta la storia di quell’ebreo, abbandonato e ritrovato, schiavo e adottato da una principessa, oppresso e oppressore, ufficiale e burocrate e poi bandito e pastore nel deserto. Una vita simile alla propria, tutta un’altalena, senza capire chi veramente si è. Anche il senso di indignazione impotente, di fronte all’ingiustizia. Anche il momento della svolta, per cui quel Mosè («E io?») non si sentiva né pronto né tagliato. La storia di una responsabilità calata addosso di forza, un ruolo che non avrebbe mai voluto assumere. Non saper parlare e dover convincere, avere paura e doverla nascondere, avere dubbi e dover trasmettere la certezza di un lieto fine. Sono così i liberatori? Costretti a cambiar vita da qualcuno più forte di loro che li scuote e li butta loro malgrado nella mischia, obbligati a caricarsi il peso dello scoraggiamento e della vigliaccheria altrui, oltre a quello della propria insicurezza, a farsi attori della compassione divina per un popolo travolto dalla violenza e rassegnato? Non ha saputo chi veramente era, finché non ha trovato questo suo secondo nome; ora lo sente nome giusto. Dopo qualche settimana di «Mosè, Mosè!», lassù in montagna, ecco la sensazione che non è stato lui a scegliere, ma è stato quel secondo nome a scegliere lui. Come un innesto, dopo il quale l’asprigno del frutto immangiabile si fa polposo e dolce. Con chiarezza ora capisce che il mondo è sì sempre nuovo, ma nello stesso tempo è una replica e una conferma; quanto avviene è già avvenuto, ogni persona è già stata e tornerà. Ora sa che cosa significhi mettersi nella linea di un capostipite, sa che occorre capire chi si è già stati e che discendente si vuol essere. Ora si sente all’altezza della situazione, capace di prove superiori alle sue forze. Resiste perché altri hanno già resistito; e perché ha finalmente capito il segreto dei secondi nomi e ha accettato di essere anello di catena, sente che in forza della sua resistenza nuova gente dopo di lui resisterà."
di Giampaolo Gri
[e-mail del circolo culturale arci pàbitelé]