puntuale come il rimorso, va in scena l'ultima serata del
cabaret più seguito della nostra Regione.
La compagnia più instabile del panorama teatrale italiano svende tutto, le ultime battute della stagione rimaste in giacenza nei magazzini del Teatro e anche scarti degli anni precedenti.
Con questa serata si conclude la stagione invernale 2008/ 2009 del Pupkin Kabarett che anche quest'anno è stata per il gruppo un'esperienza unica, con serate mai uguali a se stesse, con tanti ospiti e con tanto nuovo pubblico, che è il motore portante delle serate del lunedì. Ancora in crescita le presenze, una media di 300 spettatori a serata, che per il Miela significa tutto esaurito.
Alessandro Mizzi, Stefano Dongetti, Laura Bussani, Ivan Zerbinati, Massimo Sangermano, Stefano Schiraldi, Carlo Tommasi, Flavio Furian e i ragazzi dell'Intervallo Animato proporranno per voi monologhi d'occasione , l'irriducibile satira del territorio e quella nazionale , canzoni inedite, riflessioni di coppia, sponsor improbabili, opinioni opinabili e qualche sorpresa. Per una comicità solidale e socialmente inutile.
La mitica Niente Band suonerà e accompagnerà l'intera serata con ritmi jazz, pop e balkan sound. Riccardo Morpurgo (piano), Flavio Davanzo (tromba), Piero Purini (sax), Andrea Zulian (contrabbasso), Luca Colussi (batteria), Stefano Bembi (fisarmonica).
Spesso capita che a Trieste e nel resto del Paese succedano dei fatti assurdi, ci siano delle polemiche assurde, noi non
le alimentiamo o fagocitiamo, vogliamo semplicemente renderle ridicole per quello che sono, non diciamo niente di quello che già esiste, hanno già scritto, hanno già detto.
Pupkin Kabarett
Verranno comunicati a breve alcuni appuntamenti estivi con il Pupkin Kabarett che terminate le serate al Miela si dedicherà a un nuovo spettacolo "non dialettale ma sul dialetto triestino" e riprenderà il cantiere dello spettacolo Tingeltanz.
QUI TRST
Mostra di un solo quadro dell’artista triestino Paolo Ferluga, a cura di Sabrina Zannier
e un breve “intervento” di Marko Sosic.< /strong>
QUI TRST
Un dipinto che ha il sapore di un denso libro di storia, teso fra passato e futuro, per acutizzare l’attenzione sull’’identità sociale, politica e culturale. Un unico dipinto, che apre lo sguardo su un’ampia porzione urbanistica della città di Trieste, in parte riconoscibile, in parte disattesa, come fossimo innanzi ad un trabocchetto visivo-concettuale.
Così si presenta Qui Trst, il dipinto che Paolo Ferluga dedica alla sua città con una debordante volontà narrativa che — dalla riflessione alle parole, dal recupero della memoria storica fino ai ricordi individuali, di discorsi, espressioni e parole, dette o trattenute nel corso dell’esistenza quotidiana — fa luce sulla storia di Trieste e sulle zone collettivamente rimosse di questa stessa storia. La storia di una città dall’identità ibrida, cresciuta nell’incontro di due mondi, quello latino e quello slavo. Due mondi che non sempre si sono incontrati. Ferluga punta il dito proprio sulla necessità di tale incontro, nella convinzione che solo la presa di coscienza della propria identità storica — in tal caso votata alla pluralità etnico-culturale — possa condurci alla costruzione del futuro.
Qui Trst ci narra della storia di Trieste, ha il sapore di un appello civico ed etico, condotto con un linguaggio pittorico in cui la riconoscibilità fenomenica dettata per via di figurazione gioca al rimbalzo fra realtà e visionarietà. Ne nasce una sorta di inno alla libertà e all’immaginazione, radicata pur sempre e comunque nel tessuto dell’esistenza collettiva.
Dove finisce il vero e dove inizia l’invenzione? In Qui Trst, come del resto in tutte le opere di Paolo Ferluga, il limite si assottiglia perché è talmente calibrata la convivenza tra l’una e l’a ltra dimensione da indurci a perseveranti interrogativi.
Inverte e comprime promontori, ricolloca edifici in ordine diverso, “trasporta” la Biblioteca nazionale di Lubiana di fronte al Teatro Miela, che sottopone ad un curioso restyling appellandosi all’architettura di Frank Gehry, quasi si trattasse di un nuovo museo Guggenheim, così come in museo d’arte contemporanea viene trasformato il vecchio idroscalo, di cui nega la funzione portuale con un molo audace in rovina. Poi inserisce degli orti urbani, con la gente che si sporca le mani nella terra, ammicca al futuro eco-sostenibile con un distributore per velivoli a idrogeno, inserisce oggetti misteriosi e presenze umane sparse qua e là, quasi si trattasse di una scena ritratta da un pittore settecentesco, ben distante dalle scene di traffico urbano delle metropoli contemporanee.
Riprendendo una precedente serie di opere, Ferluga si appella alla dominante monocroma, in c ui la freddezza lattiginosa dell’azzurro contiene il sapore della memoria, quello delle vecchie immagini in bianco e nero. Poi, però, l’inserimento di materiali e immagini diverse, le punteggiature cromatiche che dai verdi ai rosa ai violetti inscenano sottili e puntute vibrazioni di energia, ci riconducono alle opere più recenti, dense di microstorie autonome ma tra loro relazionanti.
Ogni porzione di Qui Trst contiene un racconto vero, di un vero edificio, di una vera situazione civica, politica, economica, che l’artista riscrive con lo “stiletto” del giudizio, della critica e della proposta costruttiva. Una proposta che appare stigmatizzata in primo piano nella concreta riscrittura dei dieci comandamenti sull’Arte di Srečko Kosovel, scritti negli anni Venti sul carso triestino. Ci dicono, dell’arte, di conoscerla, di non profanarla, di diffonderla, di servirla onestamente, di non scendere a compromess i…
Un’arte in cui Ferluga dà respiro alle problematiche civiche, sociali, politiche e culturali. Un’arte che s’insinua della vita, liberandola nella tensione verso la visionarietà, per suggerirci che quei “comandamenti” sull’arte dovrebbero slittare anche nell’esistenza quotidiana.
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