lunedì 8 giugno 2009

Emily Jacir, se il ponte di Rialto diventa arabo

Alias, 30 maggio 2009

LA PALESTINA ALLA GIUDECCA

Grande star del padiglione, a cura di Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, sarà la figurazione, interpretata con diversi mezzi.E intanto Jacir globalizza Venezia e trasporta in Medioriente le stazioni dei vaporetti

Alla Giudecca, presso l’ex convento di Cosma e Damiano, approda quest’anno la Palestina, lo «stato che non c’è» (purtroppo non è un vero e proprio padiglione nazionale, ma è considerato un «evento collaterale») e porta con sé sette dei suoi artisti migliori. Taysir Batniji, Shadi HabibAllah, Snadi Hilal e Alessandro Petti, Emily Jacir, Jawad Al Mahli, Khalil Rabah sono gli invitati a questo banchetto speciale veneziano e, contemporaneamente, loro opere saranno visibili anche in sedi palestinesi di Gerusalemme e della Cisgiordania. Con foto, video, installazioni e storie recuperate in giro per le città, questi artisti propongono spiazzamenti di identità, riflessioni sulle relazioni fra diverse culture e affrontano la «marginalità» attraverso l’esame della geografia strutturale che la «contiene» nei campi profughi.

Stazione, invece, di Emily Jacir (vincitrice del Leone d’oro under 40 alla precedente edizione della Biennale con il bellissimo e commovente racconto della vita di Wael Zuaiter, intellettuale ucciso a Roma dal Mossad dopo i fatti di Monaco 72) è un intervento che coinvolge le fermate di vaporetto della linea #1. Si parte dallo stop del Lido e si arriva a Piazzale Roma. Fin qui, tutto normale. Solo che a ben guardare, i nomi di ogni luogo sono trascritti anche in arabo, posti al fianco del loro corrispettivo in italiano. Il «trip» lagunare bilingue quindi conduce i visitatori verso altre rive e torna a intrecciare relazioni perdute, o meglio, volutamente cancellate da molta politica internazionale recente.
La linea 1 - lentama capillare - è la più frequentata da turisti e veneziani stessi grazie alle sue numerose fermate lungo il Canal Grande. È il percorso più «quotidiano» di tutti e in fondo, anche il più straniante. Fuori, scorre quella parte della città dove secoli di scambi tra Venezia e il mondo arabo hanno lasciato segni tangibili ovunque, dall’architettura all’artigianato locale, come la rilegatura di libri o la tecnica della soffiatura con tubo inventata proprio in Palestina per lavorare il vetro. Da un lato, scienza, medicina, cartografia e filosofia arrivarono in Europa dai centri di cultura araba seguendo la via privilegiata di Venezia. Dall’altra, le tipografie della città ristamparono e divulgarono le opere di Averroè ed Avicenna, contribuendo a costruire per loro un posto unico nella storia del pensiero dell’umanità. Inoltre, il primo libro arabo ad essere stampato nella sua interezza in caratteri mobili arabi fu il Libro delle ore, pubblicato a Venezia nel 1514 da Gregorio di Gregorii.
Le traduzioni arabe di Emily Jacir inserite nell’itinerario delle fermate del vaporetto catapultano le piattaforme galleggianti dove attraccano i vaporetti in un altro mondo, lasciando riaffiorare l’eredità culturale veneziana che la città condivise con il mondo arabo. È un progetto di pace, «nascosto» in forma di viaggio a tappe, così che ognuno si abitui, giorno dopo giorno, a vedere con i propri occhi le ricche offerte dell’«altro da sé».

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