venerdì 20 febbraio 2009

Flavio Marocco - Goodbye Leningrad

Trieste - dal 21 febbraio al 31 marzo 2009
ISIDE ARTE Via Valdirivo 21/d TS
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Goodbye Leningrad è un percorso fotografico nella San Pietroburgo di un tempo, quando ancora si chiamava Ленингра́д (Leningrado). Nome che ha accompagnato la storia di questa città per un periodo di 67 anni (come la vita media di un cittadino russo) e che si riflette ancor oggi nella quotidianità di questa città. Creando un atmosfera surreale.

GOODBYE LENINGRAD

6 Settembre 1991, il nome Ленингра́д (Leningrado) viene sostituito da Санкт-Петербу́рг (San Pietroburgo). Sono trascorsi 67 anni, 7 mesi e 13 giorni da quando la città delle tre rivoluzioni cambiò il proprio nome in onore a Lenin, morto tre giorni prima.

Un periodo lungo come la vita media di un russo. Un periodo che ha segnato, più di ogni altro, l’aspetto e la gente della città. Durante questi anni Leningrado è stata il fulcro di eventi fondamentali per l’URSS: qui è stato assassinato Sergey Kirov ed ha avuto inizio la grande purga, qui la Russia si è difesa per 900 giorni dall’assedio delle truppe naziste e qui ancora hanno trovato sfogo tutti i principi, cari a Stalin, dell’architettura costruttivista. La città porta su di sé, lungo le sue strade e piazze, i segni di questo periodo: non solo le statue di Lenin col suo braccio teso o la simbologia comunista che si ritrova agli angoli delle vie, ma sono le case di Leningrado. Le коммуналка (kommunalkas), le case comuni dove tuttora vive gran parte della popolazione, dove ad ogni piano due o tre famiglie dividono bagno e cucina. Gli spazi comuni appunto. Questi caseggiati si ripetono tetramente uguali lungo le vie e se qualcuno avesse la pazienza di contarli ne risulterebbe un numero molto superiore rispetto qualsiasi altro luogo dell’Unione Sovietica. Vedere questi complessi abitativi è facile: basta solo incamminarsi, lasciandosi il centro alle spalle, verso qualsiasi direzione e fermarsi nel primo minuscolo parco che si incontra, composto solitamente da tre alberi e due panchine e sedersi su una di queste a sorseggiare una Балтика 9 (Baltika 9). Poi è sufficiente guardarsi attorno e non fermarsi all’apparenza. Si perché, dietro ad ogni porta, ad ogni cancello, si cela il giardino di questi caseggiati, dove si affacciano inaspettati negozi, locali ed attività. Una piccola città nella città, nascosta e vitale. Ed è da queste case comuni che ogni mattina Leningrado si sveglia, spalanca le finestre all’aria fredda fintantoché le inferriate lo concedono ed esce a popolarne le strade. Tentando, e spesso ostentando, di guardare ed anticipare il futuro (che per noi è già passato), emulando culture e stili di vita mai appartenuti e spesso vietati. Ma tutti questi sforzi sembrano vani quando ogni sera si torna nelle Kommunalkas, dove il tempo è fermo, il futuro ancora lontano e dove anche il presente fatica ad entrare. E così i san pietroburghesi, o sarebbe meglio chiamarli leningradesi, vivono in bilico, come funamboli, tra un passato ancora presente ed un futuro sempre distante e lontano. Cercando di giostrarsi tra le contraddizioni dei cosiddetti paesi occidentali e quelle dell’Unione Sovietica, rimanendo incatenati in un limbo tra tradizione e voglia di cambiamento. Come i protagonisti di “Goodbye Lenin” vivono il surreale e spiazzante momento della svolta. Pertanto capita di imbattersi in scene alquanto buffe: vecchi che ancora si fregiano delle celebri spille commemorative della CCCP discorrere con giovani dalla perfetta tenuta Hip Hop, Trabant superare SUV agli incroci, signore di mezza età sorseggiare Coca Cola mentre addentano un пельмени (Pelmeni).

Ed a rendere il tutto ancora più surreale, ogni anno, ogni 9 Maggio, la città sulla Neva si riprende il nome Ленингра́д (Leningrado), per ricordare e celebrare la fine dell’assedio che l’ha vista protagonista nel suo periodo più nero. Perché, come ha scritto la poetessa О́льга Фё́доровна Бергго́льц (Olga Fyodorvna Berggolts), “Nessuno dimentichi, nulla sia dimenticato”.

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