giovedì 21 agosto 2008

Sabato 23 agosto IL MUS D'AUR (L'ASINO D'ORO) ai Colonos di Lestizza

avostanis 2008


IL MUS D'AUR (L'ASINO D'ORO)
Serata con premiazione

Sabato 23 agosto, h 21.00
Auditorium comunale di Lestizza


In una società di cavalli di razza, i Colonos continuano ad andare contro corrente e rinnovano per l'undicesimo anno consecutivo, sotto il segno di Avostanis, il premio-metafora che intende promuovere gli asini e i valori di cui sono portatori: la mitezza, la semplicità, la sobrietà, la tranquillità, la tolleranza e la tenacia. La festa, con spettacolo e premiazione, si terrà sabato 23 agosto, alle ore 21.00, nell'auditorium comunale di Lestizza. Ad animare il tutto sarà Angela Felice, organizzatrice instancabile di qualificati eventi teatrali e culturali, che in questa circostanza non mancherà di appassionare il pubblico con un affascinante percorso nel paesaggio letterario antico relativo proprio al somaro, re della serata.

Prima del momento clou della premiazione ci sarà il tradizionale spazio dedicato quest'anno a due ospiti speciali (lo scorso anno era stata la baronessa Fey von Hassell), Rodolfo Castiglione, decano del teatro friulano, e Germano Pontoni, presidente dell'Unione cuochi del Friuli-Venezia Giulia, i quali, provocati da Federico Rossi, sveleranno con aneddoti e riflessioni semiserie tutto l'arcano sui rapporti tra cucina e teatro.

La seconda parte della serata avrà al centro, nella veste di protagonisti, i personaggi premiati, che quest'anno saranno quattro: il contadino Lisdero Valle, la carnica Novella Del Fabbro, l'artigiano-artista Carlin Beltrame e il catalano Aureli Argemì, che grazie al supporto del coordinatore del premio Guido Sut racconteranno, attraverso testimonianze dirette e vive, quacosa della loro vita e della loro storia di "eroi silenziosi della realtà quotidiana". Note di spensieratezza e di allegria la porterà il Grop Tradizionâl Furlan con musiche popolari che saranno eseguite da Franco Giacomuzzi alla fisarmonica, Pierino Gori alla chitarra, Silvio Pontelli al clarinetto, Gianfranco Lugano alla fisarmonica e Paolo Viezzi al contrabbasso.
Ingresso libero.



Aureli Argemì i Roca

Nell'"anno internazionale delle lingue" proclamato dall'ONU per il 2008, l'associazione culturale Colonos ha deciso di assegnare il Mus d'aur anche al catalano Aureli Argemí i Roca, nato nel 1936 a Sabadell (Catalogna) e attualmente residente a Barcellona. Per molto tempo fu segretario dell'abate del monastero benedettino di Montserrat Aureli Maria Escarré i Jané, che si oppose in maniera energica al regime franchista facendosi paladino dei valori della libertà e della democrazia, ivi inclusi i diritti linguistici e culturali della Catalogna, seguendolo in Italia quando fu costretto da Franco all'esilio, dal 1965 al 1968, anno della morte di Escarré.
Nel 1974 fondò il CIEMEN (Centre Internacional Escarré per les Minories Ètniques i Nacionals) di cui è tuttora presidente, sempre in prima linea a rinforzare legami di solidarietà tra le diverse "minoranze linguistiche" - che lui definisce termine del tutto improprio - nella prospettiva di un'Europa capace di recuperare e rinnovare la propria dimensione storica e culturale di mosaico delle diversità. E' stato promotore della Dichiarazione universale dei diritti linguistici e della Conferenza delle Nazioni senza Stato in Europa (CONSEU), e da alcuni anni è impegnato ad inserire la questione del “diritto alla lingua" in quanto diritto umano nell'agenda politica dell' ONU, che dovrebbe invitare tutte le istituzioni e responsabili pubblici a mettere in pratica con adeguate strategie operative il principio secondo cui "tutte le lingue hanno lo stesso valore e devono essere rispettate allo stesso modo, dal momento che ogni lingua è espressione dell'identità di chi la parla e della sua comunità".
E' stato invitato molte volte in Friuli, sempre nel contesto di iniziative legate alla promozione dei diritti linguistici. Vi è ritornato recentemente con una visita che sta effettuando tra le comunità europee per la preparazione dell'ottava Conferenza delle Nazioni senza Stato, che si terrà a Barcellona nella primavera del 2009 a ridosso delle elezioni europee, con l’intento di trovare nuovi partner istituzionali che possano sostenere l’importante evento.




Carlo Beltrame (Carlin)

Lo abbiamo trovato lì, a novantesei anni, fra le sue “cose”, che osserva, senza occhiali!, amorevolmente. Com’è strana la vita, talvolta! Beltrame Carlo, chiamato Carlin, ha fatto il caepentiere in Belgio per una decina di anni e poi in Italia, costruendo ponti per autostrade, massicciate, dighe. D’inverno, nel tempo libero, saliva nei boschi per la legna da ardere e nella stagione bella, lavorava l’orto, anzi lo lavora ancora! Poi la pensione e la noia dei primi tempi ed ecco che scopre una passione, all’improvviso: non ci aveva mai pensato nei precedenti sessanta anni. La prima creazione è una mannaia ed un çoc in miniatura. Poi ha fabbricato, con le sue abili mani tutto il suo paese. La casa ha tutti i piani snodabili: dal tetto al pianterreno. E dentro ha tutto: la camera con i letti e gli armadi, la cucina con la credenza, la stufa, il focolare. E’ tutto vero, tutto reale quello che ha prodotto, rigorosamente in scala uno a dieci: la stalla, la latteria, la cantina, il mulino, l’osteria le botteghe del fabbro, del falegname, del fornaio la chiesa di Frisanco, con il suo campanile, il lavatoio, la fontana con l’acqua che rigorosamente zampilla nella vasca di Frisanco e perfino i salami appesi sulla stanga. Basta annusarli, per credere! Niente di quello che ha costruito, in legno, pietra e metallo è inerte, tutto è perfettamente funzionante. La pialla di tre centimetri pialla davvero il legno, il torchio preme i raspi d’uva, la pietra del mulino, azionato ad acqua, macina, il maglio batte con lo stesso rumore del maglio vero, l’orologio del campanile rintocca le ore e le campane squillano. Non si trova nelle sue costruzioni niente di comprato. La gratta del confessionale della chiesa è in ottone duro, ricavato da un bossolo, il magnifico lampadario della chiesa è il frutto della trasformazione di una lattina di coca cola. Non poteva restare chiuso nel privato della sua casa tutto questo immane lavoro ed ora lo si ammira in un museo a Frisanco aperto dall’Associazione culturale “Da li mans di Carlin”. Chi lo visita, ha la sensazione di entrare in un paese da favola, talmente piccolo da essere abitato non da umani, ma da folletti, gnomi e sbilfs Solo i giocattoli non sono veri, sono frutto della fantasia di Carlin. Non ha forse il diritto di liberare il bambino che c’è ancora in lui?


Novella Del Fabbro

La vitalità, l’entusiasmo del fare, la consapevole passione di mettercela tutta in ogni sua attività hanno caratterizzato la vita della schietta carnica Novella Del Fabbro. Nata a Forni Avoltri 62 anni fa, sposata, con tre figli, ha attraversato la seconda metà del 900 lavorando, da emigrata, in Germania in una gelateria. Rientrata in Italia, si è cimentata, con tutta la sua caparbietà di donna volitiva, in una cava di pietra per ricavare il notissimo marmo “Fior di pesco carnico”. Ha prestato, pure, per qualche tempo, la sua attività in una segheria ad imballare i ritagli di tronchi tagliati in assi, per la loro commercializzazione. Ci tiene a precisare che a Pierabech, la cava era a 2.000 metri di altezza, la più alta d’Europa. Esperienze queste che non solo le hanno forgiato il carattere, la robusta tempra di una lavoratrice che ha destinato le sue energie in mestieri insoliti per una donna, ma le hanno segnato la memoria per sempre. Ed ecco, allora, che nella seconda parte della vita ha voluto far emergere dai suoi ricordi nei suoi scritti, articoli, saggi, conversazioni alla radio (Radio spazio 103 dove tiene tuttora la rubrica “Cjargne” e Radio Onde Furlane) alla televisione, i suoi ricchi ed insoliti vissuti.
I suoi libri, però, non sono solo una reminiscenza personale ed individuale, ma sono pure una testimonianza del mondo carnico, della cultura e della storia delle vallate, delle montagne dove ha trascorso la sua vita; della identità, del senso di appartenenza delle comunità che l’hanno accolta e che l’hanno arricchita: “Scarpetz e galocios” e “Bosc e menaùs dell’alta Val di Gorto”, quest’ultimo edito dalla Società Filologica per la quale da anni collabora e nella quale è consigliera.
Ora ha in mente una storia sugli emigranti sulle donne emigranti soprattutto, un altro modo per far conoscere ai lettori, alla gente, la sua Carnia.


Lisdero Valle

Lisdero non appartiene alla "raze contadine ogm", incarna la sua terra. Lui e la sua campagna, nei dintorni di Nogaredo di Corno, sono una simbiosi perfetta. Come lui dona la sua passione ai suoi campi, così loro gratificano con gratitudine Lisdero. Nell’espressione del suo volto, dei suoi occhi, delle sue parole trasmette tutto il suo amore per il mais, il grano, la segala, l’orzo, la colza, il sorgo nero, i girasoli ed i suoi prodotti, nel riconoscere la mano intelligente, la saggezza sapiente, i sentimenti d’affetto di Lisdero, gli elargiscono frutti abbondanti. Quando entra nei campi, sa proteggere i semi che ha affidato alla terra, sa far crescere le piante, sa conservarle e loro lo gratificano con spighe grosse, con pannocchie pesanti. Sa che in quel determinato pezzo di terra va seminato il forment sant, perché, essendo esposto alle turbolenze estive, è l’unico frumento che resiste ai burlaçs e che è capace, quindi, di dare anche i fros oltre che abbondanti chicchi. Lisdero è consapevole che la sua terra va trattata con i dovuti riguardi ed allora vi sparge il re dei concimi. Sa pure che le sue piante vanno trattate come i bambini che crescono ed allora vi aggiunge gli integratori: fosforo, potassio, azoto. Avendo trattato la terra come una madre, non sono necessari i diserbanti, le forzature dei concimi chimici e tanto meno i riordini fondiari che lui chiama “disordini”. Non è molto anziano (è della classe 1932), ma possiede una saggezza che viene dalla notte di tempi. Applica la rotazione, sa seminare insieme il frumento ed il lupino, sa usare la colza contro la runduie e soprattutto sa che per i campi occorre la stalla, l’ovile, il porcile, il pollaio che rendono lieta, con il letame che producono, la terra. Ma ha un occhio attento anche alla tecnologia, perché senza le moderne tecniche biodinamiche, sostiene, si resta fermi alla vecchia nostalgia sentimentale e bucolica. Lui, invece, intende ancora progredire, rispettando, comunque, sempre quella sua terra che lo ha fatto sudare sì, ma che gli ha anche regalato tante soddisfazioni.

avostanis 2008

Nessun commento: